Apprendimento non formale: un giorno con la classe di Design del Prodotto a Ferrara
Stazione Centrale di Bologna, ore otto e trenta. La Crew di Yobi si mette in viaggio. Obiettivo: tenere una lezione memorabile alla facoltà di Design del Prodotto dell’Università di Ferrara. Dopo il viaggio in treno, arriviamo in facoltà.
Prendiamo posto davanti la cattedra. I primi studenti ci raggiungono. Le facce di alcuni trasudano la necessità di conseguire i CFU obbligatori che il nostro corso permetterà loro di ottenere, altri sono semplicemente tramortiti dall’ora mattutina (tanto quanto noi).
Ma non sanno ancora quello che li aspetta.
Stiamo per sfidare gli studenti di design, abituati a pensare con squadra, goniometro e righello, con qualche esercizio che metterà alla prova il loro pensiero creativo.
Per prima cosa abbiamo rotto il ghiaccio, chiedendo loro quali fossero le aspettative per la giornata. La maggior parte dei presenti, intimorita dal disegno, ha scelto di seguire il workshop per migliorare l’abilità nello sketching. Ma è emerso anche l’interesse per imparare una nuova forma espressiva, per rubacchiare il meglio da una professione che per molti, prima di questa lezione, era ignota.
Detto fatto, alla lavagna!
Il nostro obiettivo non è solo insegnare un’arte (per quanto a disegnare macchinine, omini, micetti non ci batta nessuno), ma far riflettere gli studenti sulle funzionalità dello scribing e su come possono applicarlo concretamente nel loro lavoro.
Anche se inizialmente dubbiosi, i ragazzi hanno subito compreso ciò che gli chiedevamo – immaginare la loro versione futura, quali skills possiedono già e quali vorrebbero acquisire… materiale per lo psicologo –, ma si sono risvegliati soprattutto quando gli abbiamo chiesto di progettare il loro tavolo dei sogni.
Tavoli squadrati e perfettamente elaborati si sono materializzati davanti a noi. Il loro compito era quello di compartimentare gli essentials del banco su cui lavorano abitualmente: dovevano focalizzarsi sul dividere in categorie, gerarchizzare le componenti e in questo modo realizzare un tavolo ordinato che mostrasse a colpo d’occhio l’ordine delle parti.
Con questi esercizi volevamo riportare l’importanza del “fatto a mano” nel mondo digitalizzato del design: qualsiasi cosa, fatta a mano, acquisisce un’identità ben distinta. In seguito, insegnare loro un metodo di lettura del mondo, ovvero il “pensiero visuale”. Non si tratta solo di realizzare belle immagini, ma c’è dietro un lavoro di connessione di informazioni, gerarchia nella presentazione e nelle dimensioni dei concetti.
A questo punto, una volta inteso l’obiettivo dietro ciò che gli chiedevamo, ogni freno inibitore si è sciolto. I ragazzi hanno iniziato a combinare le loro abilità da designer al visual thinking, mettendosi alla prova. Il nostro approccio mirava a costruire una nuova impostazione mentale negli studenti, attraverso un sistema di educazione non formale.
Ma cosa si intende per educazione non formale?
Innanzitutto, un processo didattico che scardini totalmente il concetto tradizionale di educazione “verticale” e gerarchica tra studente e insegnante, opponendovi piuttosto un sistema “orizzontale”. Abbiamo decostruito l’insegnamento ex cathedra con il metodo supra cathedram (non appena Maddalena, la nostra attentissima supervisor, ha abbassato la guardia).
Abbiamo creato uno spazio sicuro in cui promuovere la condivisione e il pensiero libero. L’esercizio successivo, infatti, lo sketching dei movimenti del corpo nei soggetti, si è trasformato in una messa in pratica: imparare direttamente sul campo è il modo migliore per rendere indimenticabile una lezione.
L’educazione dovrebbe essere considerata un percorso attivo e dialogico, in cui gli individui non rimangono staticamente in una forma, ma vengono forniti di tutti gli strumenti e le capacità per continuare a rivoluzionare se stessi e ciò che li circonda. Il percorso di costruzione di questo spazio ideale, dove cadere significa trovare qualcuno pronto a ricominciare da dove hai lasciato, è partito quasi per gioco ed ha gettato le basi per un approccio coinvolto e responsabile all’interno della classe.
Il nostro lavoro di facilitatori consiste proprio in questo: non ci muoviamo solo nel mondo delle idee, ma anche nello spazio, creando luoghi di lavoro safe e in linea con gli obiettivi da raggiungere.
Nella seconda parte della giornata di workshop, infatti, si sono visti i risultati della pratica.
Le abilità nel disegno sono servite agli studenti per portare a termine il compito di cui li abbiamo investiti in seguito. Occupandoci anche di percorsi di facilitazione – si intende, attività che coinvolgono il capitale umano e che richiedono la collaborazione in gruppo –, abbiamo cercato di farli mettere in discussione chiedendo loro qualcosa di inaspettato: elaborare un prodotto partendo da un servizio (è stato un po’ come chiedergli un affresco dell’intera giornata).
Oltre a farli pensare – quasi scervellare per comprendere le nostre richieste, tutto voluto ovviamente – e applicare le skills acquisite, il compito gli ha permesso di muoversi liberamente nell’ambiente paritario che si è andato a costruire. I quattro gruppi hanno, infatti, lavorato a pieno regime, tirando fuori dei risultati più che soddisfacenti.
Due di questi hanno elaborato una start-up, mentre gli altri due dei prodotti effettivamente fisici. Se avessimo dato loro più tempo, probabilmente, ci avrebbero portato già dei prototipi. Ciò che più ci ha dato soddisfazione è stato vedere il coinvolgimento, l’appartenenza e l’entusiasmo che ciascuno aveva per il proprio lavoro, senza paura di ricevere giudizi di sorta.
Siamo riusciti ad annullare le distanze, creare un luogo dove condividere anche le cadute e in cui non si avesse paura di contestare. In fondo, gli studenti hanno a che fare col rigido mondo del design tutti i giorni, quello che volevamo offrire loro era una lezione in cui esperienza, vita ed educazione si fondessero.
I sorrisi sui loro volti hanno testimoniato la riuscita della giornata e, forse, oltre alle nozioni, porteranno a casa degli insegnamenti in più, che potranno essere utili nella loro futura vita lavorativa e professionale.
If you want to know more:
B. Agerbeck, The Graphic Facilitator’s Guide, Loosetooth.com Library, 2012
W. Brand, Visual Thinking, Amsterdam, BIS publishers, 2017
N. Herting, H. Willelms, Draw Your Big Idea, San Francisco, Chronicle books, 2016
E. Lupton, Graphic Design Thinking: Beyond Brainstorming, New York, Princeton Architectural Press, 2011
D. Sibbet, Visual Meetings, Hoboken, Wiley, 2010
D. Sibbet, Visual Teams, Hoboken, Wiley, 2011