Visual thinking vs. visual comics: lo scribing incontra il fumetto
Nell’ultimo mese ci siamo cimentati in un progetto top-secret, che ci ha messo alla prova nella realizzazione di un prodotto che non avremmo mai immaginato di arrivare a creare: il fumetto.
La scrittura è un medium potentissimo, ma stessa cosa si potrebbe dire del disegno. Entrambe le forme artistiche sono portatrici di senso da sole – basti pensare alla forza espressiva di un fumetto muto – e nella loro combinazione. Quando queste due arti collaborano la significazione è massima.
Il fumetto è il mezzo che la comunicazione, ma anche il design e le altre forme di condivisione, scelgono sempre di più per esprimere in modo memorabile e, allo stesso tempo, semplificato, concetti complessi.
Ma com’è possibile combinare il visual thinking – un modo di pensare, un approccio conoscitivo e mentale – a una rappresentazione strutturata e mobile come quella del fumetto?
Tra scribing e fumetto esiste un legame molto stretto, anzi, da fuori lo scribing potrebbe sembrare estremamente vicino a un prodotto fumettistico (un bel disegno, in fondo). La loro principale differenza è, però, simile a quella che passa tra fumetto e illustrazione: il primo è una narrazione significativa, il secondo una significazione statica.
Tuttavia, c’è un dato evidente da segnalare: se lo scribing riproduce un’immagine istantanea, reale, di un’esperienza irripetibile, il fumetto prevede una fase di back-office prima della sua effettiva realizzazione, che lascia spazio alla cura per la composizione e per l’estetica.
Il processo di creazione di un fumetto è un processo ibrido, che coinvolge varie intelligenze, le quali entrano in gioco anche nella sua lettura. Nella misura in cui vi abitano varie forme di linguaggio e può contenere significati metaforici, non c’è limite ai suoi contesti di applicazione. Lo stesso si può dire dello scribing.
Per il nostro ultimo lavoro, abbiamo realizzato delle “visualizzazioni fumettose” (definizione coniata in maniera più che appropriata da Monica e Chiara). Si intende, delle forme di fumetto che presentano un livello di significato in più, funzionale a riportare su carta dei concetti condivisi da un gruppo.
La metafora è, infatti, lo strumento più alto ed espressivo di cui si serve il visual thinking, che la trasforma poi in immagine. Ma, mentre la semplice illustrazione è statica ed esclusa da una narrazione – commenta, piuttosto –, quando è immessa in un quadro più ampio anche il suo significato si espande.
In questo scenario più vasto acquisisce importanza la gerarchia degli elementi e, soprattutto, delle vignette, che nel fumetto classico hanno un andamento lineare. Nella “visualizzazione fumettosa” possono assumere una dimensione gerarchica, a seconda del concetto da sottolineare.
Pertanto, quello che rende una visualizzazione parte di un fumetto vero e proprio è la cornice, che ingabbia il pensiero visivo in ritmo narrativo definito e dotato di senso.
Compaiono, inoltre, frecce e indicatori per denotare al meglio i processi logici. Nel fumetto tradizionale sono presenti segni di espressione e movimento, ma non si piegano al flusso del pensiero, piuttosto al flusso della narrazione.
Ed il design, invece? C’è anche una dimensione estetica in questa realizzazione illustrata. Non si tratta solo di visual thinking, ma anche di visual design. L’impaginazione, però, non è quella che ci si aspetterebbe.
I testi estetici non sono tutti testi artistici: anche i testi di pubblicità e di propaganda sono estetici a tutti gli effetti e sfruttano i meccanismi di sintonia, che mettono in moto per i loro scopi.
Lo storytelling delle nostre narrazioni non è finalizzato solo a raccontare una storia, ma ha un fine diverso, celebrativo: narrare una storia interna che possa essere compresa e condivisa anche da soggetti esterni, nella misura in cui il fumetto parla all’universale, attraverso le forme comuni della metafora e della significazione.
Questo rende le nostre realizzazioni comprensibili anche a chi non è interessato al fumetto, ma vuole comunque leggere un’esperienza attraverso le immagini.
Ad esempio, tutti seguiamo un discorso in forma scritta allo stesso modo, da destra a sinistra. Ma gli elementi della visualizzazione, come le frecce e gli indicatori di movimento, potranno accompagnare il pensiero verso determinati processi logici, comprensibili a chiunque, anche a chi non è consapevole degli ulteriori strati della conoscenza alla loro base. Ma i balloon possono sovrapporsi e le vignette seguire un ordine gerarchico dettato dal significato (e qui i puristi del fumetto potrebbero rabbrividire).
Anche il contesto di applicazione delle nostre produzioni è meno generale e più specifico: sono rivolte ad un pubblico ristretto ed omogeneo.
La comunicazione è un ambiente tumultuoso, in cui i linguaggi vivono scontrandosi, riavvicinandosi e talvolta scoppiano danno vita a nuove forme espressive. Il fumetto è come un grande ecosistema in cui codici differenti abitano e vivono. In questa giungla così vasta, si intersecano varie esigenze e vari contesti. I confini si dilatano e si rompono (Crash! Stomp!), ma la nostra bussola di orientamento resta sempre il pensiero.
Il visual thinking non è un prodotto, ma un approccio mentale, che innesca dei processi di cambiamento concreti. Quando i nostri fumetti prenderanno una forma cartacea e diventeranno simbolo di una realtà comunitaria, allora non saranno differenti da un knowledge wall o da uno scribing.
Saranno carichi di uno livello significativo ulteriore e, se un prodotto parla ed esprime una sintesi estemporanea di un’esperienza, di un progetto in cui un gruppo si riconosce e si percepisce come tale, non conta il mezzo, ma il nostro obiettivo può dirsi in ogni caso raggiunto.
If you want to know more:
D. Barbieri, I linguaggi del fumetto, Milano, Bompiani, 1991.
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